Le Favole più belle

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14 Anni 6 Mesi fa #3236 da rugiada
Risposta da rugiada al topic Re:Le Favole più belle
lo so, siamo in pochi, ma buoni come si dice no ?
Chi ci ama ci segua !
I sognatori e gli ottimisti che credono alle favole stanno scomparendo, teniamo alto il nostro onore !
bye bye :cheer:
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14 Anni 6 Mesi fa #3241 da LaDea
Risposta da LaDea al topic Re:Le Favole più belle
La Bella addormentata nel bosco
C'era una volta un Re e una Regina che erano disperati di non aver figliuoli, ma tanto disperati, da non potersi dir quanto.
Andavano tutti gli anni ai bagni, ora qui ora là: voti, pellegrinaggi; vollero provarle tutte: ma nulla giovava.
Alla fine la Regina rimase incinta, e partorì una bambina.
Fu fatto un battesimo di gala; si diedero per comari alla Principessina tutte le fate che si poterono trovare nel paese (ce n'erano sette) perché ciascuna di esse le facesse un regalo; e così toccarono alla Principessa tutte le perfezioni immaginabili di questo mondo.
Dopo la cerimonia del battesimo, il corteggio tornò al palazzo reale, dove si dava una gran festa in onore delle fate.
Davanti a ciascuna di esse fu messa una magnifica posata, in un astuccio d'oro massiccio, dove c'era dentro un cucchiaio, una forchetta e un coltello d'oro finissimo, tutti guarniti di diamanti e di rubini.
Ma in quel mentre stavano per prendere il loro posto a tavola, si vide entrare una vecchia fata, la quale non era stata invitata con le altre, perché da cinquant'anni non usciva più dalla sua torre e tutti la credevano morta e incantata.
Il Re le fece dare una posata, ma non ci fu modo di farle dare, come alle altre, una posata d'oro massiccio, perché di queste ne erano state ordinate solamente sette, per le sette fate.
La vecchia prese la cosa per uno sgarbo, e brontolò fra i denti alcune parole di minaccia.
Una delle giovani fate, che era accanto a lei, la sentì, e per paura che volesse fare qualche brutto regalo alla Principessina, appena alzati da tavola, andò a nascondersi dietro una portiera, per potere in questo modo esser l'ultima a parlare, e rimediare, in quanto fosse stato possibile, al male che la vecchia avesse fatto.
Intanto le fate cominciarono a distribuire alla Principessa i loro doni. La più giovane di tutte le diede in regalo che ella sarebbe stata la più bella donna del mondo: un'altra, che ella avrebbe avuto moltissimo spirito: la terza, che avrebbe messo una grazia incantevole in tutte le cose che avesse fatto: la quinta che avrebbe cantato come un usignolo: e la sesta, che avrebbe suonato tutti gli strumenti con una perfezione da strasecolare.
Essendo venuto il momento della vecchia fata, essa disse tentennando il capo più per la bizza che per ragion degli anni, che la Principessa si sarebbe bucata la mano con un fuso e che ne sarebbe morta! Questo orribile regalo fece venire i brividi a tutte le persone della corte, e non ci fu uno solo che non piangesse.
A questo punto, la giovane fata uscì di dietro la portiera e disse forte queste parole:
"Rassicuratevi, o Re e Regina; la vostra figlia non morirà: è vero che io non ho abbastanza potere per disfare tutto l'incantesimo che ha fatto la mia sorella maggiore: la Principessa si bucherà la mano con un fuso, ma invece di morire, s'addormenterà soltanto in un profondo sonno, che durerà cento anni, in capo ai quali il figlio di un Re la verrà a svegliare".
Il Re, per la passione di scansare la sciagura annunziatagli dalla vecchia, fece subito bandire un editto, col quale era proibito a tutti di filare col fuso e di tenere fusi per casa, pena la vita.


Fatto sta, che passati quindici o sedici anni, il Re e la Regina essendo andati a una loro villa, accadde che la Principessina, correndo un giorno per il castello e mutando da un quartiere all'altro, salì fino in cima a una torre, dove in una piccola soffitta c'era una vecchina, che se ne stava sola sola, filando la sua rocca. Questa buona donna non sapeva nulla della proibizione fatta dal Re di filare col fuso.
"Che fate voi, buona donna?", disse la Principessa.
"Son qui che filo, mia bella ragazza", le rispose la vecchia, che non la conosceva punto.
"Oh! carino, carino tanto!", disse la Principessa, "ma come fate? datemi un po' qua, che voglio vedere se mi riesce anche a me." Vivacissima e anche un tantino avventata com'era (e d'altra parte il decreto della fata voleva così), non aveva ancora finito di prendere in mano il fuso, che si bucò la mano e cadde svenuta.
La buona vecchia, non sapendo che cosa si fare, si mette a gridare aiuto. Corre gente da tutte le parti; spruzzano dell'acqua sul viso alla Principessa: le sganciano i vestiti, le battono sulle mani, le stropicciano le tempie con acqua della Regina d'Ungheria; ma non c'è verso di farla tornare in sé.
Allora il Re, che era accorso al rumore, si ricordò della predizione delle fate: e sapendo bene che questa cosa doveva accadere, perché le fate l'avevano detto, fece mettere la Principessa nel più bell'appartamento del palazzo, sopra un letto tutto ricami d'oro e d'argento.
Si sarebbe detta un angelo, tanto era bella: perché lo svenimento non aveva scemato nulla alla bella tinta rosa del suo colorito: le gote erano di un bel carnato, e le labbra come il corallo.
Ella aveva soltanto gli occhi chiusi: ma si sentiva respirare dolcemente; e così dava a vedere che non era morta.
Il Re ordinò che la lasciassero dormire in pace finché non fosse arrivata la sua ora di destarsi.
La buona fata, che le aveva salvata la vita, condannandola a dormire per cento anni, si trovava nel regno di Matacchino, distante di là dodici mila chilometri, quando capitò alla Principessa questa disgrazia: ma ne fu avvertita in un baleno da un piccolo nano che portava ai piedi degli stivali di sette chilometri (erano stivali, coi quali si facevano sette chilometri per ogni gambata).
La fata partì subito, e in men di un'ora fu vista arrivare dentro un carro di fuoco, tirato dai draghi.
Il Re andò ad offrirle la mano, per farla scendere dal carro. Ella diè un'occhiata a quanto era stato fatto: e perché era molto prudente, pensò che quando la Principessa venisse a svegliarsi, si vedrebbe in un brutto impiccio, a trovarsi sola sola in quel vecchio castello; ed ecco quello che fece.
Toccò colla sua bacchetta tutto ciò che era nel castello (meno il Re e la Regina) governanti, damigelle d'onore, cameriste, gentiluomini, ufficiali, maggiordomi, cuochi, sguatteri, lacchè, guardie, svizzeri, paggi e servitori; e così toccò ugualmente tutti i cavalli, che erano nella scuderia coi loro palafrenieri e i grossi mastini di guardia nei cortili e la piccola Puffe, la canina della Principessa, che era accanto a lei, sul suo letto.
Appena li ebbe toccati, si addormentarono tutti, per risvegliarsi soltanto quando si sarebbe risvegliata la loro padrona, onde trovarsi pronti a servirla in tutto e per tutto.
Gli stessi spiedi, che giravano sul fuoco, pieni di pernici e di fagiani si addormentarono: e si addormentò anche il fuoco. E tutte queste cose furono fatte in un batter d'occhio; perché le fate sono sveltissime nelle loro faccende.
Allora il Re e la Regina, quand'ebbero baciata la loro figliuola, senza che si svegliasse, uscirono dal castello, e fecero bandire che nessuno si fosse avvicinato a quei pressi. E la proibizione non era nemmeno necessaria, perché in meno d'un quarto d'ora crebbe, lì dintorno al parco, una quantità straordinaria di alberi, di arbusti, di sterpi e di pruneti, così intrecciati fra loro, che non c'era pericolo che uomo o animale potesse passarvi attraverso.
Si vedevano appena le punte delle torri del castello: ma bisognava guardarle da una gran distanza. E anche qui è facile riconoscere che la fata aveva trovato un ripiego del suo mestiere, affinché la Principessa, durante il sonno, non avesse a temere l'indiscretezza dei curiosi.


In capo a cent'anni, il figlio del Re che regnava allora, e che era di un'altra famiglia che non aveva che far nulla con quella della Principessa addormentata, andando a caccia in quei dintorni, domandò che cosa fossero le torri che si vedevano spuntare al di sopra di quella folta boscaglia.
Ciascuno gli rispose, secondo quello che ne avevano sentito dire: chi gli diceva che era un vecchio castello abitato dagli spiriti; chi raccontava che tutti gli stregoni del vicinato ci facevano il loro sabato. La voce più comune era quella che ci stesse di casa un orco, il quale portava dentro tutti i ragazzi che poteva agguantare, per poi mangiarseli a suo comodo, e senza pericolo che qualcuno lo rincorresse, perché egli solo aveva la virtù di aprirsi una strada attraverso il bosco.
Il Principe non sapeva a chi dar retta, quando un vecchio contadino prese la parola e gli disse:
"Mio buon Principe, sarà ormai più di cinquant'anni che ho sentito raccontare da mio padre che in quel castello c'era una Principessa, la più bella che si potesse mai vedere; che essa doveva dormirvi cento anni, e che sarebbe destata dal figlio di un Re, al quale era destinata in sposa".
A queste parole, il Principe s'infiammò; senza esitare un attimo, pensò che sarebbe stato lui, quello che avrebbe condotto a fine una sì bella avventura, e spinto dall'amore e dalla gloria, decise di mettersi subito alla prova.
Appena si mosse verso il bosco, ecco che subito tutti gli alberi d'alto fusto e i pruneti e i roveti si tirarono da parte, da se stessi, per lasciarlo passare.
Egli s'incamminò verso il castello, che era in fondo a un viale, ed entrò dentro; e la cosa che gli fece un po' di stupore, fu quella di vedere che nessuno delle sue genti aveva potuto seguirlo, perché gli alberi, appena passato lui, erano tornati a ravvicinarsi.
Ma non per questo si peritò a tirare avanti per la sua strada: un Principe giovine e innamorato è sempre pien di valore.
Entrò in un gran cortile, dove lo spettacolo che gli apparve dinanzi agli occhi sarebbe bastato a farlo gelare di spavento.
C'era un silenzio, che metteva paura: dappertutto l'immagine della morte: non si vedevano altro che corpi distesi per terra, di uomini e di animali, che parevano morti, se non che dal naso bitorzoluto e dalle gote vermiglie dei guardaportoni, egli si poté accorgere che erano soltanto addormentati, e i loro bicchieri, dove c'erano sempre gli ultimi sgoccioli di vino, mostravano chiaro che si erano addormentati trincando.
Passa quindi in un altro gran cortile, tutto lastricato di marmo; sale la scala ed entra nella sala delle guardie, che erano tutte schierate in fila colla carabina in braccio, e russavano come tanti ghiri; traversa molte altre stanze piene di cavalieri e di dame, tutti addormentati, chi in piedi chi a sedere.
Entra finalmente in una camera tutta dorata, e vede sopra un letto, che aveva le cortine tirate su dai quattro lati, il più bello spettacolo che avesse visto mai, una Principessa che mostrava dai quindici ai sedici anni, e nel cui aspetto sfolgoreggiante c'era qualche cosa di luminoso e di divino.
Si accostò tremando e ammirando, e si pose in ginocchio accanto a lei.
In quel punto, siccome la fine dell'incantesimo era arrivata, la Principessa si svegliò, e guardandolo con certi occhi, più teneri assai di quello che sarebbe lecito in un primo abboccamento, "Siete voi, o mio Principe?", ella gli disse. "Vi siete fatto molto aspettare!"
Il Principe, incantato da queste parole, e più ancora dal modo col quale erano dette, non sapeva come fare a esprimerle la sua grazia e la sua gratitudine.
Giurò che l'amava più di se stesso. I suoi discorsi furono sconnessi e per questo piacquero di più; perché, poca eloquenza, grande amore!
Esso era più imbrogliato di lei, né c'è da farsene meraviglia, a motivo che la Principessa aveva avuto tutto il tempo per poter pensare alle cose che avrebbe avuto da dirgli: perché, a quanto pare (la storia peraltro non ne fa parola), durante un sonno così lungo, la sua buona fata le avea regalato dei piacevolissimi sogni.
Fatto sta, che erano già quattro ore che parlavano fra loro due, fitto fitto, e non si erano ancora detta la metà delle cose che avevano da dirsi.
Intanto tutte le persone del palazzo si erano svegliate colla Principessa: e ciascuno aveva ripreso le sue faccende: e siccome tutti non erano innamorati, così non si reggevano in piedi dalla fame.
La dama d'onore, che sentiva sfinirsi come gli altri, perdé la pazienza e disse ad alta voce alla Principessa che la zuppa era in tavola.
Il Principe diede mano alla Principessa perché si alzasse: ella era già abbigliata e con gran magnificenza: ed egli fu abbastanza prudente da farle osservare, che era vestita come la mi' nonna, e che aveva un camicino alto fin sotto gli orecchi, come costumava un secolo addietro.
Ma non per questo era meno bella.
Passarono nel gran salone degli specchi e lì cenarono, serviti a tavola dagli ufficiali della Principessa. Gli oboè e i violini suonarono delle sinfonie vecchissime, ma sempre belle, quantunque fosse quasi cent'anni che nessuno pensava più a suonarle: e dopo cena, senza metter tempo in mezzo, il grande elemosiniere li maritò nella cappella di corte, e la dama d'onore tirò le cortine del parato.
Dormirono poco. La Principessa non ne aveva un gran bisogno e vissero cent'anni e più felici e contenti.....[img]http://[IMG]http://i34.tinypic.com/kpan7.jpg[/img][/img]
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14 Anni 6 Mesi fa #3248 da rugiada
Risposta da rugiada al topic Re:Le Favole più belle
Io mi sento spesso come Marcovaldo e voi ?

La nebbia
Un giorno, all'uscita del cinema Marcovaldo aprì gli occhi sulla via, tornò a chiuderli, a riaprirli, non vedeva niente, assolutamente niente, neanche a un palmo dal naso.
Nelle ore in cui era restato là dentro la nebbia aveva invaso la città, una nebbia spessa, opaca, che involgeva le cose e i rumori, spiaccicava le distanze in un spazio senza dimensioni, mescolava le luci dentro il buio trasformandole in bagliori senza forma né luogo.
Marcovaldo si diresse macchinalmente alla fermata del tram e sbatté il naso contro il palo del cartello. In quel momento, s'accorse d'essere felice: la nebbia, cancellando il mondo intorno, gli permetteva di conservare nei suoi occhi le visioni dello schermo. Anche il freddo era attutito, quasi che la città si fosse rincalzata addosso una nuvola come una coperta.
Marcovaldo, imbacuccato nel suo cappotto, si sentiva protetto dalle sensazioni esterne, sollevato nel vuoto, e poteva colorare questo vuoto con le immagini dell'India, del Gange, della giungla, viste nel film.
Venne il tram, evanescente come un fantasma, scampanellando lentamente. Le cose esistevano appena, per Marcovaldo quella sera lo stare in fondo al tram, voltando la schiena agli altri passeggeri, fissando la notte fuori dai vetri, era la situazione perfetta per sognare a occhi aperti, per proiettare davanti a se un film ininterrotto su uno schermo sconfinato.
di Italo Calvino
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14 Anni 6 Mesi fa #3249 da Consuelo
Risposta da Consuelo al topic Re:Le Favole più belle
Pollicino

La miseria e la carestia regnano sul paese. Un boscaiolo e sua moglie, non avendo più di che sfamare i loro sette figli, decidono di abbandonarli nel bosco. Il più piccolo dei fratelli, Pollicino, avendo udito per caso la conversazione dei genitori, si riempie le tasche di sassolini bianchi. Il giorno dopo, quando i genitori conducono i figli nella foresta con una scusa, Pollicino lascia cadere i sassolini dietro di sé; seguendo questa traccia riesce a riportare i fratelli a casa. Il giorno dopo la cosa si ripete, ma questa volta Pollicino ha a disposizione, per segnare il sentiero, solo briciole di pane, che vengono mangiate dagli uccelli.

I sette fratellini, perduti nel bosco, chiedono ospitalità in uno stupendo palazzo. La padrona di casa decide di accoglierli, ma li avverte che il marito è un Orco che mangia i bambini, e nasconde i sette fratelli con cura per proteggerli. Quando il marito rientra, però, sente odore di "carne fresca" e presto scopre gli intrusi, decidendo di mandarli a morte il giorno successivo.

Nel frattempo Pollicino scopre che l'Orco ha sette figlie, che egli ama tanto da aver donato a ciascuna di loro una coroncina. Nottetempo, si introduce nella camera delle orchette, sottrae loro le corone, e le appoggia sulla testa dei propri fratelli. L'Orco, svegliatosi nella notte con l'intento di sgozzare i bambini, viene tratto in inganno dalla "sostituzione" e sgozza le proprie figlie.

Pollicino e i suoi fuggono e l'Orco, avendo scoperto della tragedia avvenuta a causa dell'astuzia di Pollicino, indossa gli stivali delle sette leghe per raggiungere i bambini in fuga. Anche questa volta Pollicino lo supera in furbizia; aspettando che l'Orco si addormenti, Pollicino gli ruba gli stivali e torna dalla moglie dell'Orco. Le racconta che l'Orco è stato rapito dai briganti che vogliono un riscatto. La donna dà tutto l'oro che possiede a Pollicino, che può tornare con i fratelli dal padre con denaro sufficiente a liberarli per sempre dalla fame.
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14 Anni 6 Mesi fa #3261 da LaDea
Risposta da LaDea al topic Re:Le Favole più belle
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14 Anni 6 Mesi fa #3289 da rugiada
Risposta da rugiada al topic Re:Le Favole più belle
Avete mai incontrato qualcuno così indisponente e orso come il princepe-bestia della favola ?
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14 Anni 6 Mesi fa #3295 da LaDea
Risposta da LaDea al topic Re:Le Favole più belle
no, ma aspettiamo almeno il principe azzurro
:P
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14 Anni 6 Mesi fa #3301 da LaDea
Risposta da LaDea al topic Re:Le Favole più belle
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14 Anni 6 Mesi fa #3309 da LaDea
Risposta da LaDea al topic Re:Le Favole più belle
Un lupo e un agnello, erano giunti al medesimo ruscello spinti dalla sete; il lupo era superiore (in un luogo più alto) l’agnello di gran lunga in basso. Allora il brigante sollecitato dalla sua insaziabile fame suscitò un pretesto per litigare. «Perché», disse, « mi hai reso torbida l’acqua che bevevo?». L’agnello, timoroso, di rimando : «In che modo posso di grazia fare ciò che ti lamenti, lupo? L’acqua scorre da te alle mie labbra». Quello spinto dalla forza della verità: «Hai sparlato di me, sei mesi fa». L’agnello rispose: «In verità non ero nato». «Tuo padre in verità, quello aveva sparlato di me». E così afferra l’agnello e lo sbrana per un’ingiusta morte. Questa favola è stata scritta per quegli uomini, che opprimono gli innocenti con finti pretesti.
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14 Anni 6 Mesi fa #3313 da LaDea
Risposta da LaDea al topic Re:Le Favole più belle
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