Miti e Leggende

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14 Anni 7 Mesi fa #3086 da LaDea
Risposta da LaDea al topic Re:Miti e Leggende
In un giardino c'era una bimbetta che i miei colori fiammeggianti amava:
il cremisi, il giallo e lo scarlatto, però il mio nome lei non ricordava.
Gaillardia è un nome che non resta in mente!

Così guardò il giallo e lo scarlatto e allora ricordò l'oro splendente del sole
quando scende nel suo letto, di ricordare non si preoccupò:
mi inventò un nome molto bello e Tramonto i miei fiori chiamò: ora anche tu puoi usare quello!
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14 Anni 7 Mesi fa #3093 da LaDea
Risposta da LaDea al topic Re:Miti e Leggende
Perchè i corvi sono neri
(una leggenda indiana)
Nei giorni lontani, quando la terra e la gente su di essa erano state create da poco, tutti i corvi erano bianchi come la neve.
In quei tempi antichi la gente non aveva ne cavalli, ne armi da fuoco, ne armi di ferro.
Tuttavia si procurava cibo , a sufficienza per sopravvivere cacciando il bufalo.
Ma cacciare i grossi bufali a piedi con armi che avevano punte in pietra era duro, aleatorio e pericoloso.
I corvi rendevano le cose ancora più difficili per i cacciatori per che erano amici dei bufali.
Librati alti nell'aria, vedevano tutto quello che succedeva nella prateria. Ogni volta che notavano dei cacciatori avvicinarsi ad una mandria di bufali, volavano dai loro amici e, appollaiati tra le loro corna, davano l'allarme:
" Caw, caw, caw, cugini, stanno venendo dei cacciatori. Stanno avanzando furtivamente attraverso quella gola laggiù. Stanno salendo dietro quella collina. State attenti! Caw, caw, caw! ".
Allora, i bufali fuggivano in disordine, e la gente soffriva la fame.
La gente tenne un consiglio per decidere che cosa fare.
E bene, tra i corvi ce n'era uno veramente enorme, due volte più grosso di tutti gli altri. Quel corvo era la loro guida. Un vecchio e saggio capo si alzò e diede questo suggerimento " Dobbiamo catturare il grosso corvo bianco ", disse, " e dargli una lezione. O farlo o continuare a soffrire la fame ".

Portò fuori una grande pelle di bufalo, con la testa e le corna ancora attaccate. La mise sulla schiena di un giovane coraggioso, e disse:
« Nipote, insinuati tra i bufali. Penseranno che tu sia uno di loro, e potrai catturare il grosso corvo bianco Camuffato da bufalo, il giovane strisciò tra la mandria come se stesse pascolando.
Le grosse bestie pelose non gli prestarono nessuna attenzione. Allora i cacciatori uscirono dall'accampamento dietro di lui, con gli archi pronti. Come avvicinarono alla mandria, i corvi arrivarono volando, come al solito, dando l’allarme ai bufali:
"Caw, caw, caw, cugini, i cacciatori arrivano per uccidervi. Fate attenzione alle loro frecce. Caw, caw, caw!"
e come al solito tutti I bufali fuggirono via in disordine : tutti, cioè , eccetto il giovane cacciatore camuffato sotto la sua pelle pelosa, il quale faceva finta di continuare a pascolare come prima.
Allora il grosso corvo bianco venne giù planando, si appollaiò sulle spalle del cacciatore e sbattendo le ali disse :
" Caw , caw , caw , sei sordo, fratello? I cacciatori sono vicini , appena sopra la collina . Mettiti in salvo !" .
Ma il giovane coraggioso si allungò da sotto la pelle di bufalo ed afferrò il corvo per le zampe .Con una corda di pelle grezza legò le zampe del grosso uccello ed allacciò l’altro capo ad una pietra. Per quanto si dibattesse , il corvo non potè fuggire.
La gente sedette nuovamente in consiglio : " Cosa ne dovremo fare di questo grosso uccello cattivo , che ci ha fatto soffrire cento volte la fame?".
" Lo brucerò all’istante!" rispose un cacciatore arrabbiato, prima che qualcuno potesse fermarlo, tirò via con uno strattone il corvo dalle mani di quello che l’aveva catturato e lo ficcò nel fuoco del consiglio, corda , pietra e tutto quanto .
"Questo ti servirà di lezione" , disse.
Naturalmente la corda che teneva la pietra bruciò quasi subito, ed il grosso corvo riuscì a volare via dal fuoco.
Ma era malamente bruciacchiato , ed alcune sue penne erano carbonizzate . Benché fosse ancora grosso , non era più bianco .
" Caw , caw , caw , " gridò , volando via più velocemente che potè :" Non lo farò mai più , non darò più l’allarme ai bufali , e così farà tutta la nazione dei corvi . Lo prometto! Caw , caw , caw "
Così il corvo fuggì. Ma da allora tutti i corvi furono neri.
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14 Anni 6 Mesi fa #3103 da LaDea
Risposta da LaDea al topic Re:Miti e Leggende
Un giorno un giovane cacciatore giunse alle rive del Lago della Ninfa.

Stanco, si sedette per rinfrescarsi il volto con l’acqua, quand’ecco un’apparizione incredibile affascinò la sua vista. Sull’altra riva del lago era apparsa una fanciulla incredibilmente bella, che guardò il cacciatore fissandolo con i suoi occhi stranamente verdi. Il ragazzo ne rimase sconcertato e l’amore divampò in lui immediatamente.

La giovane guardò ancora il cacciatore, rise e si allontanò, scomparendo rapidamente.

Allora egli la rincorse affannosamente, in vano inseguimento.

Ai carbonai che incontrava chiedeva notizie. “E’ la ninfa che si pettina al sole” rispondevano i carbonai, “una creatura malefica. Guai a chi si innamora di lei: è perduto!”. Così dicevano i carbonai, ma il giovane non credette loro.

Ritornò il giorno successivo al lago, ed ecco che ancora la creatura meravigliosa gli apparve sull’altra sponda. Così accadde per vari giorni; ma una volta il giovane, non sopportando più quel gioco crudele, le urlò il suo amore. Essa allora lo guardò a lungo con i suoi occhi verdi trasparenti e gettò sul lago per magia un iridescente ponte di cristallo, indirizzando al giovane un canto dolcissimo.

Il cacciatore si lanciò incontro alla bella ed era già a metà del ponte, quando questo si dissolse ed il promesso bacio della fanciulla ebbe il sapore delle gelide acque del lago. La morte del giovane riportò il silenzio sugli alti prati dominati da aspre montagne.

I carbonai commentarono variamente l’accaduto. Alcuni dissero che la ninfa, per punizione, era stata tramutata in dura roccia. Altri invece affermarono che la fanciulla si pentì e, disperata, volle affidarsi all’innamorato nello stesso abbraccio di morte: si tuffò, anch’essa nelle acque ghiacciate e morì.

Da allora avviene, talvolta, che si possano vedere sulla superficie del lago, fluttuare due nuvolette vicine.
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14 Anni 6 Mesi fa #3150 da LaDea
Risposta da LaDea al topic Re:Miti e Leggende
La leggenda narra.. che la piuma di una giovane aquila
cadde accanto ad una donna.. ed ella contemplandola
imparò il segreto del volo.

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14 Anni 6 Mesi fa #3173 da LaDea
Risposta da LaDea al topic Re:Miti e Leggende
Si che narra di una povera orfanella che non aveva né famiglia né qualcuno che le volesse bene.
Un giorno, sentendosi particolarmente triste e sola, si mise a camminare per i boschi e vide una bellissima farfalla imprigionata in un rovo. Più la farfalla si dibatteva per conquistare la libertà e più le spine si conficcavano nel suo fragile corpo. La giovane orfanella con delicatezza riuscì a liberarla.

Invece di volare via, la farfalla si tramutò in una bellissima fata. La ragazzina si sfregò gli occhi perchè pensava di aver avuto una allucinazione. "
Per ricompensarti della tua straordinaria bontà", disse la fatina buona, "esaudirò qualunque tuo desiderio". La ragazzina si fermò un attimo a riflettere, poi disse: "Voglio essere felice!".

La fata rispose: "Molto bene". Si chinò su di lei e le sussurrò qualcosa in un orecchio. Poi svanì.

La ragazzina, divenuta ormai grande, appariva felice come nessun altro sulla terra. Tutti le chiedevano il segreto della sua felicità. Ma lei si limitava a sorridere e rispondeva: "il segreto della mia felicità consiste nell'aver dato ascolto ad una fatina buona quando ero piccola".

Poi divenne vecchia e quando fu in punto di morte i vicini le si fecero attorno, temendo che il segreto della felicità svanisse con lei. "Per piacere", la pregarono, "rivelaci ciò che ti ha detto la fatina buona".

La cortese vecchietta sorrise ed esclamò: "Mi disse che tutti, per quanto sicuri di sé, e non importa se giovani o vecchi, ricchi o poveri, hanno bisogno di me".
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14 Anni 6 Mesi fa #3220 da LaDea
Risposta da LaDea al topic Re:Miti e Leggende
La storia di Aretusa
Aretusa, figlia di Nereo e di Doride, amica della dea Diana, fu trasformata da quest’ultima in una fonte di acqua dolce che sgorga lungo la riva bagnata dalle acque del porto grande di Siracusa.

La metamorfosi fu attuata per sottrarre la timida ninfa alla corte del dio Alfeo. Costui, però, è la divinità fluviale, quindi scorrendo sotto le acque del mare Egeo, arriva in prossimità della fonte nella quale era stata trasformata la sua amata per consentire alle sue acque di raggiungere quelle della fonte stessa e quindi mescolarsi con loro.

In realtà, Alfeo era un piccolo fiume della Grecia che effettua un breve tragitto in superficie per poi scomparire sotto terra.

Quando i Greci trovarono la piccola sorgente nei pressi della fonte di Aretusa, trovarono la spiegazione fantasiosa alla scomparsa del fiume Alfeo in Grecia, che sarebbe riapparso in superficie in Sicilia.
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14 Anni 6 Mesi fa #3252 da Consuelo
Risposta da Consuelo al topic Re:Miti e Leggende
Il mito di Narciso

Una mattina Liriope, mentre faceva il bagno, fu sedotta dal fiume Cefiso. Dopo nove mesi partorì un bambino e lo stesso giorno chiese ad un indovino, quante probabilità avesse suo figlio di giungere alla vecchiaia. L'indovino rispose: "vivrà finché non vedrà la propria immagine."
Liriope fece sparire tutte le superfici riflettenti, vetri, le pentole di rame, ecc...
A sedici anni, Narciso divenne il più bel ragazzo del paese, ma egli non aveva amici o amiche e tantomeno aveva fidanzate o amanti. Una volta un ragazzo gli scrisse un bigliettino: "dammi un pegno che m'ami, che, senza di te, preferirei morire!" Narciso come pegno gli inviò una spada, come se volesse fargli capire che lui non se ne fregava niente se si fosse ucciso.
Un giorno Narciso vide la sua immagine riflessa nell'acqua e se ne innamorò.

Una prima versione dice che Narciso cercando di baciare la sua immagine, cadde nel laghetto e vi morì annegato. Un'altra ipotesi dice che Narciso si infilzò con un pugnale.

Dal corpo di Narciso nacque un fiore chiamato per l'appunto narciso, questo fiore a volte presenta minuscole macchie rosse che per alcuni sarebbero la prova che il fiore sia nato dal sangue di Narciso.
Si racconta che Narciso quando attraversò lo Stige, si sia affacciato nelle acque del fiume sperando di vedersi riflesso. Ma non vi riuscì perché lo Stige è il fiume dei morti, e pertanto torbido, fangoso, privo di qualsiasi riflesso.

Narciso ne fu contento: "Vuol dire che solo io sono morto, e che tu non sei morto ancora! Vivi sempre lassù, sul monte Elicona, in quella fonte d'acqua limpida, nel bosco dei miei sogni!"
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14 Anni 6 Mesi fa - 14 Anni 6 Mesi fa #3260 da LaDea
Risposta da LaDea al topic Re:Miti e Leggende
Psiche è una bellissima principessa, così bella da causare l'invidia di Venere. La dea invia suo figlio Eros perché la faccia innamorare dell'uomo più brutto e avaro della terra, perché Psiche sia coperta dalla vergogna di questa relazione. Ma il dio, Eros, si innamora della mortale, e con l'aiuto di Zefiro, la trasporta al suo palazzo, dove, imponendo che gli incontri avvengano al buio per non incorrere nelle ire della madre Venere, la fa sua. Ogni notte Eros va alla ricerca di Psiche, ogni notte i due bruciano la loro passione in un amore che mai nessun mortale aveva conosciuto. Psiche è dunque prigioniera nel castello di Eros, legata da una passione che le travolge i sensi. Una notte Psiche, istigata dalle sorelle,con una spada e una lampada ad olio decide di vedere il volto del suo amante, pronta a tutto, anche all'essere più orribile, pur di conoscerlo. È questa bramosia di conoscenza ad esserle fatale: una goccia cade dalla lampada e ustiona il suo amante:

« ...colpito, il dio si risveglia; vista tradita la parola a lei affidata, d'improvviso silenzioso si allontana in volo dai baci e dalle braccia della disperata sposa (V, 23) »


Il dio vola via e Venere poco dopo cattura Psiche per sottoporla alla sua punizione. Venere sottopone Psiche a diverse prove: nella prima, per esempio deve suddividere un mucchio di granaglie con diverse dimensioni in tanti mucchietti uguali; disperata, non prova nemmeno ad assolvere il compito che le è stato assegnato, ma riceve un aiuto inaspettato da un gruppo di formiche, che intendevano ingraziarsi il suo innamorato. L'ultima e più difficile prova consiste nel discendere negli inferi e chiedere alla dea Proserpina un po' della sua bellezza. Psiche medita addirittura il suicidio arrivando molto vicino a gettarsi dalla cima di una torre. Improvvisamente, però, la torre si anima e le indica come assolvere la sua missione. Durante il ritorno, mossa dalla curiosità a lei tanto cara, aprirà l'ampolla (data da Venere) contenente il dono di Proserpina, che in realtà contiene il sonno più profondo. Ancora una volta verrà in suo aiuto Amore, che la risveglierà dopo aver rimesso a posto la nuvola soporifera (uscita dalla ampolla). Solo alla fine, lacerata nel corpo e nella mente, Psiche riceve l'aiuto di Giove. Mosso da compassione il padre degli dei fa in modo che gli amanti si riuniscano: Psiche diviene una dea e sposa Amore.
Ultima Modifica 14 Anni 6 Mesi fa da LaDea.
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14 Anni 6 Mesi fa #3286 da LaDea
Risposta da LaDea al topic Re:Miti e Leggende
Il Ponte dell'Arcobaleno

C'e' un posto in Paradiso, chiamato "Ponte dell'Arcobaleno".

Quando muore una bestiola che è stata particolarmente cara a qualcuno, questa bestiola va al ponte dell'arcobaleno.
Ci sono prati e colline per tutti i nostri amici tanto speciali così che possano correre e giocare insieme.
C'è tanto cibo, acqua e sole, ed essi sono al caldo e stanno bene.

Quelli che erano vecchi e malati sono ora forti e vigorosi. Quelli che erano feriti o storpi sono di nuovo integri e forti, come noi li ricordiamo nel sogno dei giorni e dei tempi passati.
Sono felici e contenti, tranne che per una piccola cosa: ognuno di loro sente la mancanza di qualcuno molto amato, qualcuno che hanno dovuto lasciare indietro...

Corrono e giocano insieme, ma un bel giorno uno di essi improvvisamente si ferma e guarda lontano, verso l'orizzonte. I suoi occhi lucidi sono attenti, trema per l'impazienza: tutto ad un tratto si stacca dal gruppo e comincia a correre, volando sul verde prato, sempre più veloce.

Ti ha riconosciuto, e quando finalmente sarete insieme, vi stringerete in un abbraccio pieno di gioia, per non lasciarvi più. Una pioggia di baci felici bagnerà il tuo viso; le tue mani accarezzeranno di nuovo l'amata testolina e fisserai ancora una volta i suoi fiduciosi occhietti, per tanto tempo lontano dalla tua vita ma mai assente dal tuo cuore.

Allora attraverserete,insieme , il Ponte dell'Arcobaleno...
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14 Anni 6 Mesi fa #3315 da LaDea
Risposta da LaDea al topic Re:Miti e Leggende
Tanti e tanti anni fa c'era un luogo che ai giorni nostri viene chiamato Via Lattea. Questa era suddivisa in due mondi: uno
di essi era abitato dagli esseri umani e l'altro era la regione riservata alle divinità. Il mondo degli uomini era ad occidente,
mentre ad oriente c'era il mondo delle divinità, e non c'era mai modo d"incontrarsi tra gli uni e gli altri. Nella zona
occidentale viveva un giovane bellissimo chiamato Kengyû, che conduceva ogni giorno le mucche al pascolo essendo il
suo mestiere quello di mandriano e, praticamente, passava le sue giornate con loro. Nella zona orientale, dove vivevano
le divinità, c'erano le sorelle della splendida Orihime che, insieme a lei, tessevano abiti preziosi. Orihime era la più
giovane delle sorelle ed oltre ad essere straordinariamente bella aveva un'abilità eccelsa nell'arte della tessitura. Kengyû
ed Orihime vivevano ciascuno nella zona riservata a loro nella vastissima Via Lattea.
Un giorno, tuttavia, Kengyû con le sue mucche stava percorrendo i prati del cielo e, senza accorgersene, si trovò nella
zona orientale della via lattea. Proprio in quel momento Orihime e le sue sorelle stavano facendo il bagno dopo che
avevano deposto sui rami degli alberi i loro splendidi kimono di seta. Kengyû rimase affascinato dalla figura delle belle
sorelle e non sapeva che erano delle divinità.
Era una vista incantevole. Kengyû era soprattutto attratto dalla più giovane delle sorelle e il suo cuore venne rapito dalla
sua bellezza. I suoi occhi erano quelli di un giovane che per la prima volta era illuminato dal fuoco dell'amore. Una delle
mucche, che lo stavano osservando in quello stato, gli sussurrò a bassa voce in un orecchio:
" Kengyû, e se portassi via il kimono di quella ragazza...?"
Appena a Kengyû arrivò questo suggerimento, prese i vestiti di Orihime dal ramo dell'albero dove erano appesi e, proprio
come la mucca aveva proposto, li nascose dietro ad un masso di roccia. Appena Orihime uscì dall'acqua del fiume, andò
in cerca dei suoi vestiti e fu molto sorpresa e preoccupata nell'accorgersi che il suo kimono non c'era più. Alle sorelle,
senza farsi accorgere di essere senza vestiti:
"Verrò da voi più tardi", disse e si acquattò nuda in quel posto, dal momento che senza il kimono di seta non riusciva a
volare. A un certo punto sentì una voce di dietro che la chiamava.
"I tuoi vestiti sono qua. Prima, però, ho un favore da chiederti". Voltandosi in direzione della voce appena ascoltata,
Orihime vide il giovane che stava in piedi e gli mostrava le spalle.
"Mi piacerebbe se tu diventassi mia moglie", disse Kengyû, sospinto dall'amore.
"Io devo tornare al cielo". Il giovane si voltò a guardare il volto di Orihime che aveva nascosto il corpo dietro la roccia.
"Mi piacerebbe che tu diventassi mia moglie".
Nel vedere il viso di Kengyû, la sua figura virile e il bellissimo sguardo, Orihime sentì il cuore battere d'amore per lui e
decise di accettare la sua proposta. In cuor suo, comunque, c'era anche la speranza di riavere il suo kimono. Dopo non
molto tempo, ai due nacquero una bambina e un bambino. Orihime, nel frattempo, non era tornata neanche una volta a
casa e viveva con Kengyu che si sentiva felice. Anche i fanciulli, che erano loro nati e che erano circondati dall'affetto
della dolce madre e da quello del padre, erano ugualmente felici. Una divinità femminile che viveva sulla montagna di
Konron, quando venne a sapere che Orihime viveva nel mondo degli esseri umani e che, anzi, aveva perfino dato vita a
dei bambini con un uomo, s'infuriò e digrignò i denti. Era, infatti, gelosa di quanto stava accadendo ad Orihime.
"Non lo si può permettere. Porta indietro Orihime il più presto possibile!", disse al messaggero che aveva mandato dal
cielo e così a forza costrinse Orihime a tornare nel suo mondo. Kengyû ed i bambini che erano stati lasciati da soli
vivevano tristi e continuavano a piangere. Non potevano, tuttavia, andare avanti così, piangendo tutto il giorno. Kengyû,
allora, mise i bambini in una cesta che si caricò sulle spalle e incominciò a camminare dirigendosi verso la zona orientale della Via Lattea. Dopo giorni e giorni di cammino, finalmente arrivò all'estremità della Via Lattea. Stranamente, però, del
fiume della Via Lattea non si vedeva neanche l'ombra. Dal posto in cui si trovava Kengyû si vedeva questo fiume molto
ma molto lontano.
La dea aveva spostato il fiume in un luogo più elevato per impedire a Kengyu di vedere Orihime. Questi, lontani l'uno
dall'altra, vivevano nella tristezza e versavano abbondanti lacrime perché non riuscivano a incontrarsi. Il padre ed i
bambini tornarono a casa e continuavano a piangere guardando il fiume della Via Lattea che si era spostato molto più in
alto e lontano. Vedendoli così afflitti, una mucca si mosse a compassione e avvicinatasi bisbigliò al loro orecchio:
" Kengyû, se io muoio, tu potrai fare una giacca con la mia pelle e, con essa, sarai in grado di salire fino al fiume della
Via Lattea".
Dopo aver pronunciato queste parole, la mucca esalò l'ultimo respiro e Kengyû pianse doppiamente al pensiero che
essa aveva compreso il suo stato d'animo e, a costo della sua vita, aveva cercato di rendere possibile la realizzazione
del suo desiderio. Fece subito una giacca con la pelle della mucca morta, la indossò e si incamminò, senza perdere tempo,
verso il fiume della Via Lattea, con i bambini in una cesta posta sulle sue spalle. Padre e figli arrivarono alla Via Lattea
mentre le stelle risplendevano in tutto il loro fulgore. Era una vista meravigliosa. Kengyû era eccitato e fuori di sé al
pensiero di poter vedere sua moglie ed i bambini cominciarono a gridare e a chiamare la mamma. A questo punto, la
dea che stava osservando la scena andò su tutte le furie per la gelosia. Divise il fiume della Via Lattea, con la sua forcina,
tirando una linea in modo da rendere impossibile l'attraversamento per il padre e i figli. Per l'ira della divinità, l'acqua del
fiume crebbe a dismisura e tutta la Via Lattea si allagò per questa ragione. Il padre ed i bambini furono presto circondati
dalle acque e quasi stavano per affogare, ma non rinunciavano alla loro impresa.
"Papà, tiriamo su l'acqua dal fiume e prosciughiamolo. Quando l'acqua sarà poco profonda, potremo attraversarlo e così
abbracciare la mamma".
Kengyû seguì il suggerimento dei figli e cominciò ad attingere l'acqua con un mestolo gettandola fuori dell'alveo del fiume.
Lavorava con tutte le sue forze perché l'acqua del fiume potesse scomparire rapidamente. Quando il padre si stancava
la bambina prendeva il suo posto, e quando lei si stancava subentrava il fratellino: lavoravano così a turno per attingere
l'acqua e svuotare il fiume. La dea che li osservava fu mossa a pietà e:
"Smettete di attingere l'acqua del fiume. Da questo momento i bambini possono vivere con la loro madre. Farò, poi, in
modo che Kengyû possa incontrare Orihime il settimo giorno del settimo mese. Una sola volta all'anno, però!"
Appena Kengyû ebbe ascoltato queste parole s'inginocchiò ed espresse la sua gratitudine alla divinità. Da allora in poi,
Kengyû ed Orihime possono incontrarsi ogni anno proprio al centro della Via Lattea il sette di luglio, rinnovando la
propria gioia e versando allo stesso tempo tantissime lacrime. Anche ai nostri giorni la Via Lattea, nelle notti d'estate,
risplende bianca e bellissima: su ambo i lati possiamo notare due stelle brillanti che sono Kengyû ed Orihime. A fianco di
Kengyu, poi, si trovano due piccole stelle. In esse si possono riconoscere i loro due bambini.
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