Baaria di Giuseppe Tornatore

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14 Anni 7 Mesi fa #2525 da LaDea
Baaria di Giuseppe Tornatore è stato creato da LaDea
Baarìa è la storia di una famiglia siciliana dagli anni ‘30 all’inizio degli anni ‘80, attraverso tre generazioni. E questo, lo si sapeva già. Baarìa è poi la storia epica e nostalgica che Giuseppe Tornatore ha voluto dedicare alla sua terra, e lo si poteva immaginare sin da subito. Che però il kolossal italiano più costoso ed ambizioso da anni a questa parte potesse lasciare così insoddisfatti… Ci potevano certo essere dei dubbi, ma la speranza era che Tornatore tornasse a fare cinema di ampio respiro
Baaria non è altro che il nome fenicio di Bagheria, città natale di Tornatore. Qui si trovano uomini, donne, eroi, figure strane, e chi più ne ha più ne metta, e il regista ha dichiarato che il film è “una storia divertente e malinconica, di grandi amori e travolgenti utopie”. Il film s’incentrerà sul periodo che va dagli anni ‘30 agli anni ‘60.
Una trottola che inizia a vorticare nella prima scena e si ferma solo due ore e mezzo più tardi. Un bambino che corre a perdifiato per le strade del suo paese fino a levarsi in volo e passarci sopra come in sogno. Un altro bambino che cresce durante il fascismo per poi riapparire, magicamente ancora bambino, nel traffico e nel frastuono della Bagheria di oggi, dove ritrova fra le macerie di casa sua una piccola cosa luccicante che aveva smarrito decenni prima ma forse non aveva mai perduto davvero.

Il bello del cinema di Tornatore è che non conosce le mezze misure e fa di ogni episodio un’avventura, di ogni gesto un’iperbole, di ogni personaggio un eroe. Il guaio del cinema di Tornatore è che non conoscendo mezze misure rischia di soffocare sotto l’accumulo di effetti, metafore, crescendo, colpi di scena, paradossi temporali e chi più ne ha più ne metta. Come se la Storia di cui tutti facciamo parte non fosse un problema sempre aperto, un processo senza fine da indagare e verificare ogni volta di nuovo, ma un insieme dato una volta per tutte di forme, facce, eventi, sentimenti da far scorrere a piacimento nella moviola della memoria. Magari correggendolo con le lenti della fantasia, come hanno sempre fatto i cantastorie.

Troppo bello per resistere alla tentazione. Troppo facile per non lasciarsi dietro un persistente disagio. Che cosa ci ha chiamati a guardare, esattamente, Tornatore? Si sa che Baarìa è un film diverso da tutti per taglio e dimensioni, che la città è stata ricostruita proprio com’era, anzi forse leggermente più grande, che fra grandi e piccoli conta un centinaio di personaggi, che dietro le loro vite colte di scorcio scorre tumultuoso quasi tutto il ’900 fra pubblico e privato, politica e società, arte e magia. Perché a Bagherìa c’è anche Villa Palagonia, con le sue sculture mostruose cariche di mistero, e al dialogo con la Storia si intreccia quello con la sua rappresentazione, vista sempre a passo di carica attraverso la pittura di Guttuso e il cinema di Lattuada (che vi gira Mafioso, con Alberto Sordi).

Sono i momenti più felici del film, insieme a quelli dedicati alla memoria delle lotte contadine e delle vittime della mafia. Bellissima in particolare la scena in cui il protagonista Francesco Scianna, militante del Pci, indica dall’alto di un monte, al giornalista venuto da Roma (Raoul Bova), i luoghi in cui sono caduti uccisi Placido Rizzotto, Salvatore Carnevale, Accursio Miraglia, Epifanio Li Puma. In momenti come questo davvero l’anima storica e quella favolistica, sempre all’opera nel cinema di Tornatore, si saldano in una visione solida e coerente. Lo stesso si potrebbe dire del cappotto preso in prestito a uno stupefatto Leo Gullotta per andare in Urss. O di quella cappella affrescata da Guttuso usando popolani come modelli per le figure dei santi, col risultato di suscitare un vespaio di pettegolezzi tra i fedeli che riconoscono in quelle figure sacre i loro compaesani...

Ma dove questo soffio epico o umoristico viene meno, il film finisce per infilare uno dietro l’altro episodi più o meno felici, sorretto da un grande lavoro sul cast (peccato che il dialetto, indispensabile, sia così spesso e così visibilmente frutto di doppiaggio) e accompagnato dalle musiche incalzanti di Ennio Morricone con una tale mancanza di pause e rallentamenti, indispensabili a loro volta, che a tratti paradossalmente sembra di guardare il trailer (un trailer da 2 ore e mezzo!) di un film che Tornatore non farà mai ma che un giorno ci piacerebbe vedere.

Chissà, forse per trasformare davvero Bagheria nella sua Macondo ci voleva più leggerezza, meno “poesia” (meno poeticismi). E un rapporto diverso con la Storia, che in un racconto costruito in questo modo diventa anche senza volere un catalogo di cliché. Il fascismo e la guerra, il Pci “egemone” anni ’50 e il mito effimero dell’Urss, Fred Astaire e Tambroni, Mina e la rivoluzione sessuale, poi la mafia, le elezioni, il trasformismo, gli intrallazzi, le mazzette, il ’68. Tutto già visto, catalogato, in fondo rassicurante. Un come eravamo, ingordo e rutilante, generoso e diseguale, ma più pittoresco che magico
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